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Rabbia e perdono: quale rapporto tra i due.

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    nocitovalentina
  • 13 giu
  • Tempo di lettura: 2 min
Rabbia e perdono
Rabbia e perdono
“Tenere rancore è come bere veleno sperando che l’altro muoia.”— Buddha

Nel cuore dell’esperienza umana, la rabbia e il perdono danzano come due forze in apparenza opposte: una brucia, l’altra lenisce. Ma in realtà sono legate da un filo sottile e profondo, che ha a che fare con la nostra capacità di elaborare il dolore e trasformarlo in consapevolezza.


La rabbia: un'emozione spesso fraintesa

Molti temono la rabbia, la reprimono o la giudicano moralmente inaccettabile. Ma la rabbia, nella sua essenza primaria, non è né “buona” né “cattiva”. È un segnale.

“Ogni emozione ci racconta una verità. La rabbia ci parla di un confine violato.”— Harriet Lerner, psicologa e autrice

La rabbia nasce dove c’è un senso di ingiustizia, di tradimento, di perdita di controllo. Nelle sedute terapeutiche spesso affiora sotto forma di tensione silenziosa, di ansia, o di comportamenti auto-sabotanti. Dietro queste espressioni c'è quasi sempre una rabbia inespressa: verso un genitore, un partner, un amico… o persino verso se stessi.


Il perdono: non una resa, ma una trasformazione

Perdono non è dimenticanza, né assoluzione automatica. È un processo. A volte lungo, doloroso, ambivalente. Non significa giustificare il male subito, ma smettere di esserne prigionieri.

“Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu.”— Lewis B. Smedes

Nel lavoro terapeutico, accompagnare una persona verso il perdono significa prima di tutto aiutarla a riconoscere, accogliere e dare voce alla propria rabbia. Senza questo passaggio, il perdono rischia di diventare una scorciatoia emotiva, una maschera morale che nasconde ancora dolore.


Dalla rabbia al perdono: un cammino psichico

Per attraversare il ponte tra rabbia e perdono, occorre integrare alcuni passaggi fondamentali:

  1. Dare legittimità alla rabbia. Non si può perdonare ciò che non si è prima nominato. Serve tempo, spazio, ascolto.

  2. Distinguere il dolore dalla persona. Spesso confondiamo l’atto doloroso con l’identità di chi lo ha compiuto. Il perdono nasce quando riusciamo a separare l’evento dalla totalità dell’altro — e da noi stessi.

  3. Riconoscere il potere della scelta. Perdonare è una decisione attiva, non un obbligo morale. È il diritto di smettere di lasciare che l’altro definisca il nostro mondo interiore.

  4. Accettare la complessità. Si può perdonare e continuare a porre limiti. Si può perdonare senza voler ricostruire un legame. Perdono non è riconciliazione, ma una forma di igiene emotiva.


Un gesto di libertà interiore

In terapia, vedo spesso i volti trasformarsi quando il perdono viene vissuto come gesto verso se stessi, prima che verso l’altro. È il momento in cui la rabbia, accolta e compresa, lascia spazio alla possibilità di vivere senza pesi inutili.

“Quando perdoniamo, non cambiamo il passato, ma possiamo cambiare il futuro.”— Bernard Meltzer


Rabbia e perdono non sono nemici. Sono parte di un unico processo psichico di guarigione e integrazione. Il primo ci insegna a riconoscere ciò che ci ha ferito. Il secondo ci aiuta a non restare identificati con quella ferita.

Come psicoterapeuta, credo che accompagnare qualcuno in questo cammino sia uno degli atti più profondi di cura dell’anima. Perché perdonare non è dimenticare chi ci ha fatto del male, ma ricordare chi vogliamo essere.


 
 
 

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